Sergio Millozzi Investigazioni private│film
TESTO CRITICO SERGIO MILLOZZI Investigazioni Private → … Un giorno smisi di pensare a cosa, a come, non mi rimase nemmeno il perché. Non ho cercato più nulla se non la bellezza di quel bianco che solo un foglio sa raccontare. Non ho deciso, ho aspettato, ed è stato allora che mi sono sentito le mani, le ho percepite forse per la prima volta. Si sono mosse, hanno dato vita e me l’hanno tolta. In quella piccola dimensione astratta mi sono rivelato e si è rivelata quella cosa che mai avrei voluto sapere: io non so dipingere. E’ così che tutto è ricominciato. E tutti i miei segni sono sogni
Così si espone Sergio Millozzi e l’Uomo è un geroglifico dell’Universo. E’ la Natura segreta quella che traspare all’intuito dell’Artista, quella che neanche la sua parte razionale può conoscere perché va semplicemente oltre il tutto conosciuto, oltre il prevedibile, che sia astrofisico oppure sciamanico. Come il bambino delle leggende indù, superiore a Brahma, Vishnu, Shiva.
Picasso afferma che … Tutti i bambini nascono Artisti, il problema è rimanere Artisti diventando grandi
Un giorno ci troveremo nel mondo al di là delle nostre creazioni artistiche, ma creato da esse. Il mondo della libertà aurea che per esse si manifesta. Soltanto l’Arte può condurre alla vera conoscenza. La Pittura di Sergio Millozzi è una pittura colta, sapiente, citazionistica per chi è in grado di coglierne le citazioni, sottolinea Marcello Mantegazza, è la Pittura che osserva sé stessa, d’altronde è lui stesso il primo ad investigarla e forse a spingerci a farlo, prendendo tutto come un gioco, un gioco serio però. Lo si fa privatamente, per chi ha voglia, con discrezione. Il tratto del pastello ad olio, i cromatismi, le campiture bianche della carta. Questi sono gli indizi. Se riuscissimo in quel gioco superficiale di riconoscerci forme antropomorfe allora sarebbe tutto più semplice, ma abbiamo voglia di rendere l’indagine più complicata, ci si addice di più. E allora ci chiediamo perché il nostro cervello predilige un colore anziché un altro, una forma tracciata col nero non è la stessa tracciata coi rossi, vengono da parti differenti del nostro emisfero cerebrale. Le campiture ocra non sono le stesse dei tratti verdi dati usando sapientemente il pastello ad olio tracciando non segni, bensì delimitando superfici. In quelle superfici si dispongono e fluttuano macchie, segni gestuali. È uno schema ricorrente quello che ne viene fuori, una struttura ripetitiva, la ripetizione di una determinata sequenza all’interno di un insieme di dati grezzi, di algoritmi che seguono uno schema prestabilito. Così almeno appare ad un primo approccio. Cerchiamo di seguirli, come si fa con i corpi mobili vitrei, le macchie nere, le mosche volanti che fluttuano nel vitreo del nostro occhio e ci sfuggono. Così succede con molti dei segni tracciati da Sergio Millozzi. Vuoi afferrarli, vuoi carpirne i segreti, vuoi risolvere velocemente la tua indagine ma alla fine ci rinunci, perché sono sempre più veloci del tuo occhio. Si muovono autonomamente, dopo che l’Autore gli ha dato vita in una sorta di scrittura creativa, di flusso di coscienza dove la scrittura non è più scrittura ma diventa segno, gesto, scarabocchio.
O forse, sta lì il segreto delle investigazioni private di Sergio Millozzi, l’aver creato un alfabeto personale, intimo, segreto, che probabilmente non riusciremo mai a decodificare, ma possiamo guardarlo, come si guarda un panorama, e vederlo puntellato di piccole macchie fluttuanti. Quando avremo smesso di rincorrere le macchie avremo risolto l’indagine, a nostra insaputa, involontariamente. Senza saperlo.