Il Tempo del Futurismo Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma
COMUNICATO STAMPA → Si inaugura il 3 Dicembre 2024, e sarà visitabile fino al 28 Febbraio 2025, la Mostra Il Tempo del Futurismo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, promossa e sostenuta dal Ministero della Cultura e curata da Gabriele Simongini, celebra l’ottantesimo anniversario dalla scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti, avvenuta il 2 dicembre 1944. Diversamente dalle Mostre del passato dedicate al rivoluzionario movimento d’avanguardia fondato nel 1909 da Marinetti, questa Mostra si concentra sul rapporto tra Arte e Scienza/tecnologia e illustra quel “completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche” posto alla base della nascita del Futurismo. Una riflessione oggi attualissima, se si pensa che lo tsunami tecnologico dell’intelligenza artificiale sta investendo l’umanità, avverando la profezia della macchinizzazione dell’umano e dell’umanizzazione della macchina preconizzata proprio dai futuristi. La Mostra punta a essere inclusiva, didattica e multidisciplinare, si rivolge al grande pubblico e in particolare alle nuove generazioni. Per questo illustra i concetti di velocità, di spazio, di distanza e di sensibilità percettiva evidenti nei capolavori del Futurismo, contestualizzandoli nella società dell’epoca, rivoluzionata dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Saranno esposte circa 350 opere fra quadri, sculture, progetti, disegni, oggetti d’arredo, film, oltre a un centinaio fra libri e manifesti, con un’attenzione alla matrice letteraria del movimento marinettiano che non ha precedenti, insieme con un idrovolante, automobili, motociclette e strumenti scientifici d’epoca. Per descrivere al meglio l’atmosfera futurista, l’esposizione sarà arricchita da due installazioni site specific di Magister Art e di Lorenzo Marini e sarà vivacizzata da eventi di approfondimento. Si ringraziano i Musei italiani e stranieri, tra cui il MoMA, il Metropolitan Museum di New York, il Philadelphia Museum of Art, la Estorick Collection di Londra e il Kunstmuseum Den Haag de L’Aia che con i loro prestiti hanno generosamente contribuito alla Mostra. Il Catalogo sarà pubblicato da Treccani e conterrà, oltre ai saluti istituzionali, i testi di Gabriele Simongini, Francesca Barbi Marinetti, Günter Berghaus, Elena Gigli, Claudio Giorgione, Giovanni Lista, Ada Masoero, Ida Mitrano, Riccardo Notte, Francesco Perfetti e Marcello Veneziani. Collaborazioni rilevanti contribuiscono all’offerta culturale messa in campo, come quella con il MAXXI, che con l’apertura al pubblico di Casa Balla aggiunge una tappa fondamentale al discorso narrativo; con la Fondazione Magna Carta, promotrice di un programma di attività culturali con finalità pedagogiche; con il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, per il prestito di numerosi oggetti che hanno arricchito la Mostra anche con un taglio scientifico. La Mostra gode del prezioso sostegno dei Main sponsor Autostrade per l’Italia e Enel, degli Sponsor Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Unipol Gruppo, del Partner tecnico ACI Storico.
Ufficio Stampa
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Il Tempo del Futurismo introduzione di Alessandro Giuli Ministro della Cultura
La mostra “Il Tempo del Futurismo”, evento internazionale che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ha dedicato alla più importante avanguardia culturale italiana del XX secolo, si è lasciata a lungo desiderare. In epoca recente, eventi espositivi nazionali sul Futurismo non erano certo mancati ed erano stati tutti di successo, oltreché di pregio scientifico e divulgativo. Basti pensare al progetto condiviso tra il Museo Nazionale di Matera e la Direzione regionale Musei Veneto che ha dato vita alle due illuminanti rassegne Futurismo italiano. Il contributo del Mezzogiorno agli sviluppi del movimento, presentata a Palazzo Lanfranchi, nel capoluogo materano, e Futurismo di carta, presentata a Treviso, al Museo Nazionale Collezione Salce. L’esposizione romana ha però avuto un respiro ulteriore e non ha nascosto il suo intento celebrativo con l’apertura dei battenti nell’esatta ricorrenza degli ottanta anni dalla morte di Filippo Tommaso Marinetti, avvenuta il 2 dicembre 1944. Poeta e profeta di una rivoluzione estetica che traccia un vistoso spartiacque nella storia non solo artistica della modernità, a Marinetti dobbiamo la rivolta creatrice contro il passatismo, la glorificazione del movimento e della velocità, la decostruzione tecnologica del tempo e dello spazio, il superamento di logiche, sintassi e significati tradizionali attraverso un nuovo linguaggio dell’arte che ancora oggi permane nelle tante imprese che animano il mondo della tecno-scienza e dell’era digitale. Non c’è ambito linguistico, espressivo e creativo della contemporaneità in cui la mitopoiesi futurista non continui a essere stimolo visionario e fonte di ispirazione, dalla musica alla pubblicità, dal cinema alla moda, dal design alla fotografia, dalla danza alle nuove forme comunicative dei social. La mostra curata con rigorosa dedizione da Gabriele Simongini ha per questo riservato la sua speciale attenzione al pubblico dei giovani ben cogliendo le intenzioni di Marinetti quando nel Discorso di Firenze del 1919 sostenne che scopo precipuo del suo movimento fosse quello di incoraggiare tutti gli slanci temerari dell’ingegno giovanile, per preparare un’atmosfera veramente ossigenata di salute, incoraggiamento ed aiuto a tutti i giovani geniali d’Italia. Il percorso espositivo, distribuito in 26 sale, riccamente guarnite di manifesti, libri, film, riviste e oggetti scientifici, oltre alle centinaia di opere d’arte presenti, un idrovolante, automobili e motociclette d’epoca, è stato pensato con notevole sensibilità storica e filologica, accompagnando ogni visitatore in un viaggio appassionante che va dagli albori alla copiosa eredità che il Futurismo ha lasciato ai suoi posteri. Il progetto – fortemente sostenuto dal precedente Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano – è stato possibile anche grazie agli uffici della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, coadiuvati dalla Direzione Generale Musei, che voglio ringraziare nelle persone della direttrice Cristina Mazzantini e del direttore Massimo Osanna. Mi sia permesso di ricordare, infine, la rilevante collaborazione offerta dal MAXXI che ha contribuito alla riapertura di Casa Balla, e al recupero del prezioso quadro Espansione Fiore n. 17, altra tappa fondamentale per quanti vogliano conoscere temi e ispirazioni del più grande movimento letterario, culturale e artistico del Novecento italiano. Il catalogo che qui possiamo sfogliare è dunque il felice compimento di un lavoro straordinario, che Governo e Istituzioni della Cultura hanno saputo offrire all’Italia e al grande pubblico.
Il Tempo del Futurismo testo di Massimo Osanna Direttore generale Musei
[…] Il Tempo e lo Spazio morirono ieri […] Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909
Il Futurismo è sinonimo dell’avanguardia moderna italiana, in quanto la più propulsiva istanza di rinnovamento artistico e intellettuale della prima metà del XX secolo nel nostro Paese. Ci si potrebbe domandare però – soprattutto in occasione della retrospettiva Il Tempo del Futurismo alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, a cui si accompagna questo catalogo – se considerarlo non solo, in questo senso, come straordinario episodio che appartiene solo al suo spazio e al suo tempo ma anche come la radice, il fondamento, l’archeologia della nostra stessa contemporaneità, e dei suoi scenari in divenire. Il Manifesto del Futurismo, redatto e pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, declama la necessità di instaurare prospettive di futuro in un territorio impregnato di testimonianze del passato, di innescare nell’ammirazione verso il passato l’ambizione di un’azione e di una creazione che sappiano esprimere invece le volontà e sensibilità del presente. Se “un’automobile ruggente” può essere “più bella della Vittoria di Samotracia”, l’arte futurista potrà autorevolmente rappresentare, invece che le rovine di antiche civiltà, le espressioni di una civiltà ancora in costruzione: “il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta”. Ovvero, più o meno, la “città che sale” di Umberto Boccioni, o le tante sintesi di tempo e spazio delle opere di Giacomo Balla, fra altri artisti e artiste. Oltrepassando la sua retorica ostile ai musei e alle accademie, il Manifesto di Marinetti e le coeve opere futuriste ci indicano l’insopprimibile necessità di impegnarsi, anzi di implicarsi, nel sostegno alla cultura del presente, di animarne il fermento perché essa sia e si mantenga viva. Come, del resto, lo furono anche le culture del passato, almeno prima di diventare appunto documenti, memorie, oggetti “da museo”. Verrebbe da dire che l’unico passato ammissibile per i futuristi sia quello in cui esso era il presente. Forse quindi, più che sbarazzarsi dei musei e delle accademie, il Futurismo rivendica anche per noi contemporanei la necessità che gli stessi sappiano corrispondere alle molteplici esigenze del nostro presente facendosi catalizzatori del nostro futuro. Inoltre, nella sua programmatica multimedialità e interdisciplinarietà, il Futurismo sembra tradursi in matrice di quella creatività che, solo decenni dopo, si sarebbe definita come Made in Italy: al contempo estetica e funzionale, teorica e pratica, in grado di coniugare riferimento e innovazione e di rimodellare materiali e rifunzionalizzare tecnologie disponibili per elaborare contenuti o rispondere a necessità inedite. Qualsiasi progetto dedicato al Futurismo, oggi, non potrà, quindi, che congiungere consapevolmente, come in questa mostra, arti visive, architettura, design industriale, ingegneria tecnologica, pubblicità e strategie grafiche e concettuali di comunicazione. Delineando un’arte che è composta, di fatto, da prototipi e di ipotesi di opere possibili, un’arte che si prospetta dal presente e della realtà al futuro e alla progettazione della realtà stessa. Infine il Futurismo è stato emblema del riconoscimento dell’Arte italiana nel mondo, il vessillo della sua internazionalità. Non è un caso che, quando il critico Germano Celant cercò di convincere i giovani mecenati Marcello e Lia Rumma a organizzare nel 1968 la prima mostra pubblica del neonato momento dell’Arte Povera, egli scrisse che si trattava del primo movimento che avrebbe riportato l’Arte italiana in dialogo con il resto del mondo, dopo il Futurismo. Teorizzatore nel 1967 della “guerriglia” dell’Arte Povera, ma anche curatore nel 2018 della mostra Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943, Celant ci aiuta a connettere le molteplici avanguardie italiane del XX secolo e a cogliere il dato al contempo di anticipazione e di continuità che il Futurismo vi rappresentò, riattivandosi e riadattandosi nella sua intrinseca vitalità. Come recita il titolo di un’opera di Mario Schifano presente nella mostra –e annoverabile fra i capolavori della coeva Pop Art italiana – il Futurismo si dispone di per sé stesso a essere continuamente “rivisitato”, proponendosi come simbolo fervido, mobile, spontaneo, e persino liberamente contraddittorio, di una modernità che non smette di interrogare l’antichità e la contemporaneità riportando a sé, per metterli in discussione e rilanciarli nuovamente, tutti i loro tempie tutti i loro spazi. La mostra Il Tempo del Futurismo restituisce, così, rilievo alla pervasiva attualità del movimento nella società e cultura contemporanee, come traspare anche dalla proposta allestitiva. Le numerose opere, distribuite nelle ali superiori della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, occupano quasi la metà delle sale espositive del museo. Tale generosità di spazio ne favorisce la fruizione in una sequenza ordinata di stanze e strutture divisorie ampie, dispiegando − con andamento sinuoso – le principali tematiche del progetto curatoriale. Accolte, senza interferenze, nella monumentale architettura della GNAM, le opere danno vita ad un intenso confronto tra due visioni coeve, molto diverse tra loro: le antitetiche interpretazioni del passato quella avanguardista di Marinetti e quella classicista di Bazzani, dalle quali emerge una comune visione del futuro: grandiosa, luminosa e moderna. Il Tempo del Futurismo è quanto mai presente, quindi, è il tempo dell’oggi, dell’arte e della cultura contemporanee, delle forme visuali e culturali del vivere moderno, che trovano concretizzazione plastica nella bella mostra qui organizzata dal Ministero della cultura.
Il Tempo del Futurismo testo di Renata Cristina Mazzantini Direttrice della GNAMC
La preparazione della mostra Il Tempo del Futurismo, avviata sotto la precedente direzione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, è giunta al traguardo sotto l’egida del Comitato Organizzatore, grazie alla stretta collaborazione con la Direzione generale Musei e al proficuo gioco di squadra condotto con tutti gli uffici del Ministero della Cultura, a partire dal Dipartimento per la Valorizzazione, sino all’Ufficio Stampa. Il progetto della mostra è rilevante, non solo per la Galleria Nazionale stessa, che dopo anni è tornata a ospitare una rassegna dal respiro internazionale, ma per il Paese, che celebra nella Capitale una delle più alte espressioni della sua arte. Un fenomeno culturale cosmopolita, oggi universalmente annoverato tra le avanguardie più importanti del XX secolo, che al di là di ogni ideologia o ipotesi di appropriazione politica può oramai dirsi a pieno titolo patrimonio comune della cittadinanza. Dopo la grandiosa mostra di Palazzo Grassi aperta a Venezia nel 1986, quella allestita al Palazzo Reale di Milano nel 2009 e quella inaugurata alle Scuderie del Quirinale nello stesso anno, immagino sembrasse giunto il momento di organizzare una nuova retrospettiva dedicata al futurismo: un movimento rivoluzionario che promosse anticipazioni intellettuali di raro acume, diventando contagioso soprattutto in Paesi, come l’Italia e la Russia, che agli albori del Novecento ancora vagheggiavano la modernità. Il futurismo si fece portavoce di un’attualità sfacciatamente anti passatista. Sino alla pubblicazione del Manifesto su Le Figaro di Parigi nel 1909, il nuovo si era sempre innestato sul passato, il cui annientamento non era neppure ipotizzabile. I futuristi, invece, spezzarono la continuità storica, rompendo l’incanto della tradizione per spingersi sull’orlo di un futuro desideroso di rompere ogni legame con la memoria. Seguaci della “Modernolatria”, promossero il progresso con ottimismo e senza indugiare nella nostalgia. In questa prospettiva, la mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea presenta il movimento come profeta dell’irrequieta modernità sbocciata con la tecnologia. Il futurismo, scriveva l’influencer ante litteram Marinetti: «si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche». La mostra si concentra perciò su questo aspetto, esibendo accanto alle opere d’arte, ai libri e ai manifesti, anche gli autoveicoli e una serie di rari strumenti scientifici dell’epoca, per spingere il visitatore a rileggere molte geniali intuizioni alla luce dell’odierno tsunami tecnologico. Oltre cinquecento oggetti, di cui trecentocinquanta opere d’arte provenienti da diversi Paesi, saranno esposti in ventisei sale, su oltre tremila metri quadrati di superficie. Ciò detto, non saranno i numeri (davvero impressionanti per una mostra temporanea) a stupire i visitatori, bensì la straordinaria qualità delle opere esposte e la singolarità della visione d’insieme, basata su un progetto scientifico che punta innanzitutto all’inclusività. Attraverso un’innovativa didattica museale, il discorso narrativo della mostra, concepito ed elaborato dal curatore Gabriele Simongini, illustrerà la multiforme tensione creativa del futurismo sotto il profilo artistico, letterario, teatrale, architettonico e cinematografico, sia agli appassionati, che troveranno tanti capolavori assoluti, sia alle nuove generazioni, che scopriranno proprio nell’inedito legame tra arte e tecnologia le basi di una rivoluzione giovanile. In particolare, la mostra intende raccontare come questo intreccio abbia cambiato il corso della storia dell’arte: il mutamento di paradigma nel fare artistico, infatti, si radica proprio nel rapporto con la scienza e si fonda sul concetto di simultaneità, che alimenta la brama dello sguardo e il desiderio del movimento. La complessità delle opere futuriste non è insita nella riproduzione della realtà in sé, ma nella rappresentazione sincronica di un’esperienza percettiva che è diacronica e dinamica, e che quindi prevede il cambiamento continuo del punto di vista e dell’orizzonte. I futuristi volevano catturare il movimento, nelle rappresentazioni pittoriche o plastiche vedevano nella simultaneità una condizione immersiva che preannuncia il prevalere della prospettiva mediatica su quella, più immediata, dello spazio. Alcune delle opere esposte in mostra, infatti, sembrano preconizzare ciò che Marc Augé definisce come «la sovrabbondanza spaziale del presente», dovuta alla spettacolare accelerazione dei mezzi di trasporto, e il falso giorno osservato da Paul Virilio nelle metropoli interconnesse “H24”. Del resto, già nel 1909 Marinetti tuonava: «Tempo e Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente». Un altro mutamento di paradigma prodotto dal futurismo si rileva nell’approccio al sistema dell’arte, evidente nella spregiudicata ma efficacissima campagna reclamistica promossa da Marinetti per coinvolgere le masse. Nell’attingere direttamente all’immaginario collettivo, trasformando i miti della società dell’epoca in soggetti artistici, e nel servirsi del linguaggio pubblicitario per liberare l’arte da ogni cerebralismo accademico, il futurismo ha in effetti anticipato molte delle tendenze del secondo dopoguerra, costruendo solide basi anche per la Pop Art. L’allestimento della mostra, progettato con lo studio Decima Casa, ha tenuto conto di queste riflessioni, esprimendo innanzitutto il concetto di simultaneità. Nell’arioso percorso espositivo, che si snoda attraverso i maestosi volumi architettonici della Galleria Nazionale, ogni ambiente offre ai visitatori la visione concomitante di una pluralità di oggetti e di opere. Gli specchi, che rivestono tutti i passaggi, giocano sulla molteplicità dei piani prospettici, costringendo l’occhio a passare attraverso episodi plastici successivi, spesso accostati in modo inconsueto, e creando un fantastico gioco di rimandi. In questo modo, ad esempio, Lampada ad arco di Giacomo Balla si confronta con una vera e originale lampada ad arco voltaico proveniente dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano, mentre il mockup dell’idrovolante da corsa Macchi-Castoldi MC-72 a grandezza naturale si specchia con il vorticoso Sorvolando in spirale il Colosseo (Spiralata) di Tato. Allo stesso modo la rappresentazione dell’automobile in corsa in Espansione dinamica+velocità di Balla si confronta con la FIAT Siluro Chiribiri. Attraverso questo gioco la mostra racconta le tante sfaccettature della poetica futurista in modo spettacolare. Si apre, a sorpresa, sotto un rovescio di lettere, con l’installazione Futurpioggia realizzata appositamente da Lorenzo Marini. Le lettere, che appaiono come segni grafici indipendenti dal sistema alfabetico, diventano immagini, in cui il linguaggio artistico travalica ogni significato e sopprime la sensazione inequivocabile della scrittura. L’installazione è ispirata al “Paroliberismo” che, abbandonando il senso logico e infrangendo i rapporti sintattici, portava alla disorganizzazione anarchica delle “parole in libertà”. In omaggio al parolibero Zang Tumb Tuuum di Filippo Tommaso Marinetti, la chiassosa Futurpioggia sposta l’attenzione sulle singole lettere, raffigurate come opere d’arte, che si diffondono nello spazio specchiandosi su un tappeto riflettente, metafora dell’acqua. Al benvenuto paroliberista si aggiunge, a metà del percorso, una seconda installazione multimediale curata da Magister Art, che vuole offrire al visitatore l’esperienza virtuale del mondo immaginato da Marinetti e dipinto da Umberto Boccioni. Si tratta di un tunnel percettivo, o meglio, di una galleria del tempo, dove il pubblico interagirà con bagliori e suoni evocativi, sperimentando una sintesi di linguaggi sensoriali in un viaggio lungo dieci metri. Ispirata alla serie Gli Stati d’animo, l’installazione rievoca visivamente le suggestioni psicologiche delle opere di Boccioni per esprimere i concetti di energia e velocità, mentre la componente sonora si avvale della voce di Marinetti rotta dal rombo di treni e di motori. Sarebbe superfluo, a questo punto, indugiare nella descrizione delle singole sale o delle numerose opere che vi saranno esposte: il discorso narrativo e il percorso espositivo sono mirabilmente documentati in questo corposo volume, grazie al contributo di tanti illustri studiosi. È doveroso, quindi, concludere questa introduzione ringraziando tutti coloro che, coralmente convinti dell’importanza del progetto, hanno contribuito alla sua realizzazione. A partire dai tanti musei e collezionisti che hanno accolto le richieste di prestito, fino ai numerosi sostenitori, che con generosi finanziamenti hanno reso la mostra davvero magnifica: dai main sponsor Autostrade per l’Italia e Enel agli sponsor Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Unipol e al partner tecnico ACI Storico. Rilevanti sono state anche le collaborazioni con il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano che ha arricchito l’esposizione con il prestito di rari strumenti scientifici d’epoca; con il MAXXI, che ha aggiunto una tappa fondamentale al discorso narrativo grazie all’apertura al pubblico di Casa Balla, e con la Fondazione Magna Carta, promotrice di un programma di attività culturali con finalità pedagogiche. È stata una sfida articolata dal punto di vista manageriale e un’avventura ambiziosa dal punto di vista culturale, che ha impegnato per mesi molti degli uffici della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, coadiuvati dalla Direzione Generale Musei, senza il supporto di un’azienda specializzata. Alla complicata produzione di una mostra ciclopica, si sono aggiunte le attività propedeutiche all’urgente adeguamento della vetusta struttura architettonica di Viale delle Belle Arti, necessarie per accogliere densi flussi di visitatori, e il disallestimento di oltre metà delle sale espositive, liberate per accogliere il futurismo. L’impegno profuso dal personale della Galleria, che ringrazio, è stato esemplare: soprattutto l’Ufficio Mostre, instancabilmente diretto da Giovanna Coltelli, e l’Area Amministrativa, guidata con energia da Annarita Orsini, che non si sono mai fermati, neanche nei mesi estivi. Un impegno accompagnato da un grande entusiasmo, finalmente premiato da una meritata soddisfazione.
Il Futurismo è oggi estratto dal testo in catalogo di Gabriele Simongini Curatore della Mostra
«La nostra opera fresca di qualche mese […] precorre di almeno cento anni la sensibilità artistica italiana». Esattamente centodieci anni fa, nel 1914, Umberto Boccioni pubblicava nel suo Pittura scultura futuriste questa riflessione profetica che è idealmente alla base della mostra Il Tempo del Futurismo, presentata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. D’altro canto, pure Giacomo Balla nel 1927 annunciava: «Anche i minimi tentativi futuristi possono essere il principio della nuova arte futura. E con questo, con una superstrafede indistruttibile, a rivederci tra qualche secolo». Di conseguenza, le opere esposte nelle sezioni storiche di questa rassegna devono essere viste non come esiti completamente chiusi e compiuti (ciò avrebbe fatto inorridire i futuristi, che,non dimentichiamolo, esaltavano la sconsacrazione dell’arte e il rifiuto di ogni solennità sotto il segno di una perenne sorpresa e una grande ilarità), ma come frecce indirizzate verso il futuro e soprattutto come nuclei irradianti una potenza creativa che si espanderà nei decenni successivi in tutta l’arte internazionale e perfino nei mutamenti antropologici della nostra società attuale. Come scriveva nel 1913 Filippo Tommaso Marinetti (di cui la mostra celebra l’ottantesimo della scomparsa, avvenuta il 2 dicembre 1944, anche con una serie di incontri ed eventi), «il futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche». Una frase attualissima tanto più oggi se pensiamo allo tsunami tecnologico che ci sta investendo, soprattutto con le questioni legate all’intelligenza artificiale, basate sull’evoluzione di quella macchinizzazione dell’umano e umanizzazione della macchina (oggi si parla di veicoli in grado di adattarsi agli stati d’animo e alle condizioni psicofisiche dei passeggeri) affrontate per la prima volta proprio dai futuristi. Provvisti di un’ideologia globale che chiama in causa tutti i campi dell’esperienza umana per creare un uomo nuovo («noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa», scriveva Marinetti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912), essi hanno intuito per primi che si stava passando dalla condizione frontale della prospettiva classica alla condizione immersiva e fluttuante di quella che oggi viene chiamata connected society, in cui ognuno di noi è dentro a tutto (per lo meno teoricamente). E Boccioni nel 1914 ribadiva: «Noi futuristi siamo i soli primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata». In pratica noi viviamo nel futuro intuito e avviato da Marinetti, Balla, Boccioni & co., un mondo nuovo fondato fra l’altro sulla centralità della comunicazione, sulla trasversalità dei linguaggi, sull’immaterialità, sull’effimero e sull’idea che la tecnologia muti la costituzione stessa dell’umano: la creatura che cambia il suo creatore. Si può dire, quindi, che in molti aspetti della nostra vita quotidiana le idee dei futuristi sono divenute ordinaria realtà. […] La mostra Il Tempo del Futurismo ha, per certi aspetti, intenti diversi rispetto a rassegne epocali come Ricostruzione futurista dell’universo dei Musei Civici di Torino, curata nel 1980 da Enrico Crispolti, o l’ormai mitica Futurismo & Futurismi, curata da Pontus Hultén e allestita nelle sale di Palazzo Grassi a Venezia nel 1986 (d’altro canto, sarebbe impossibile fare un paragone per l’epoca profondamente diversa in cui si sono realizzate queste due rassegne e anche per l’odierna difficoltà, relativa agli elevatissimi costi di trasporti e assicurazioni, per avere prestiti di opere di caratura internazionale, sempre più spesso considerate inamovibili dai musei che le custodiscono). O, ancora, Futurismo 1909-1944, curata sempre da Crispolti nel 2001 per il Palazzo delle Esposizioni a Roma, o Futurismo 1909-2009, curata da Giovanni Lista e Ada Masoero nelle sale di Palazzo Reale a Milano nel 2009, o, infine, Italian Futurism, 1909-1944: Reconstructing the Universe, curata da Vivien Greeneper il Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 2014, solo per citarne alcune. La mostra della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, che dopo molti anni torna finalmente a ospitare una rassegna di ampio respiro e impegno attingendo largamente ai suoi straordinari depositi, ha l’ambizione di contestualizzare i capolavori esposti in una sorta di “sociologia” culturale fondata soprattutto sulle fondamentali innovazioni scientifiche e tecnologiche che ne hanno accompagnato la creazione e senza le quali sfuggirebbe completamente il senso profondamente e radicalmente rivoluzionario del futurismo. Con l’obiettivo di non rivolgersi perlopiù agli addetti ai lavori con il solito gioco, piuttosto stucchevole, del “quest’opera c’è ma quella manca”, si è deciso di riservare invece una particolare attenzione a un pubblico di giovani che spesso ha sentito parlare di futurismo attraverso pochi cenni scolastici. Non dobbiamo dimenticare, del resto, che il movimento marinettiano aveva fin dalla nascita fra i suoi scopi principali quello di «incoraggiare tutti gli slanci temerari dell’ingegno giovanile, per preparare una atmosfera veramente ossigenata di salute, incoraggiamento ed aiuto a tutti i giovani geniali d’Italia», come disse Marinetti nel Discorso di Firenze dell’ottobre 1919. Così, questa mostra mette in rapporto le opere con oggetti strumenti scientifici d’epoca provenienti dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, ma anche con i fondamentali mezzi di locomozione che hanno modificato profondamente i concetti di velocità, spazio, distanza e sensibilità percettiva con mutamenti antropologici che non avevano precedenti in nessuna altra epoca, contribuendo a una riconfigurazione radicale del paesaggio esterno e di quello interiore. Bisogna ricordare, fra l’altro, che in quegli anni la nostra produzione aereonautica e quella automobilistica erano al centro della scena e nel cuore dell’attenzione popolare. Pensando al Manifesto del futurismo del 1909 con l’ormai leggendaria affermazione sulla «bellezza della velocità» e sull’«automobile ruggente […] più bello della Vittoria di Samotracia», si può immaginare facilmente, vedendole in mostra, l’entusiasmo dei futuristi di fronte alla Fiat Record Chiribiri del 1913, con la sua forma a siluro, contemporanea alle Velocità d’automobile di Balla, oppure di fronte alla Maserati del 1934 di Tazio Nuvolari, vero e proprio mito dell’italianità che primeggiava sui circuiti internazionali. O, ancora, di fronte alle mitiche motociclette Frera, azienda per la quale Boccioni firmò la copertina sulla «Rivista mensile del Touring Club» del numero di aprile del 1908. E l’idrovolante da corsa Macchi Castoldi Mc 72 (di cui è eccezionalmente esposta una copia perfetta a grandezza naturale – un mock-up, in termine tecnico – di quel magnifico apparecchio) sintetizza bene l’epopea della nostra aeronautica e le imprese solitarie degli aviatori italiani, i nuovi eroi popolari. Inostri aerei battevano ogni record di velocità e distanza percorsa. L’idrovolante da corsa Macchi Castoldi Mc 72 era l’orgoglio del Reparto Alta Velocità della Regia Aeronautica, che tra il 1927 e il1936 all’idroscalo di Desenzano scrisse pagine fondamentali della storia dell’aviazione. La più celebre fu scritta il 23 ottobre 1934, novant’anni fa, con il record mondiale di velocità su idrovolanti con motori a pistoni, mai più battuto. Lo fissò il maresciallo Francesco Agello, volando tra Desenzano e Manerba a una media di 709 chilometri orari su un apparecchio che divenne anche un simbolo di bellezza contemporanea: era per l’appunto l’Idrocorsa Macchi Castoldi Mc 72, rosso, guizzante nella sua linea dinamica e filante. Fu l’aereo più veloce del mondo. Ma quel che ci interessa ancora di più è che questo idrovolante richiama pienamente l’immaginario futurista di Marinetti, oltre che quello degli aeropittori, visto che potrebbe essere senza dubbio uno degli apparecchi citati dall’inventore del futurismo in L’aeropoema del Golfo della Spezia (1935): «nel capannone d’Alta Velocità di Desenzano interrogo Castoldi costruttore di apparecchi ultra rapidi» e con lui e il maresciallo Agello «ci sentiamo a 200 300metri con furia ingoiare il bel lago spumoso quando finalmente si trionfa nell’entrare fra gli illustri onnipotenti Signori Chilometri 700 all’ora».[…] Nella costante osmosi fra innovazioni tecnologiche, teoria letteraria e prassi creativa, si parte dafine Ottocento con gli artisti citati e ammirati dagli stessi futuristi (Medardo Rosso e i divisionisti Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati, Giovanni Segantini), con il fondamentale simbolismo espressionistico di Romolo Romani, futurista per poche settimane, che testimonia una componente fondamentale del movimento marinettiano, e con alcune opere formative dei cinque futuristi iniziali(Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini), che ci portano a inizio Novecento. E, sul confine fra divisionismo e futurismo, si propone eccezionalmente il dialogo diretto, fianco a fianco, fra Il Sole (1904) di Pellizza da Volpedo e Lampada ad arco (1910-1911 circa) di Balla, il suo primo quadro futurista, concesso in prestito dal MoMA di New York, per sottolineare il cambiamento epocale fra una concezione panica della natura che rispecchia ancora un’Italia rurale e agricola e la novità dell’elettrificazione (la «Fata Elettricità», come veniva chiamata), che esprime pienamente la «Modernolatria» di cui parlava Boccioni e che ha influenzato fortemente i futuristi anche nella strutturazione formale delle loro opere, come se fossero percorse da scariche elettriche. Non va trascurato, fra l’altro, che nel 1900 Balla visitò il Palazzo dell’Elettricità all’Esposizione Universale di Parigi, dove le applicazioni pratiche dell’elettricità meravigliavano i visitatori: telegrafo, telefono, radiografia, elettrochimica, «l’accumulatore» o pila ecc. Non a caso, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista Marinetti incitava anche a «elettrizzare lo stile». E ancora lui, nel manifesto La nuova religione-morale della velocità dell’11 maggio 1916, scriveva: «Io prego ogni sera, la mia lampadina elettrica; poiché una velocità vi si agita furiosamente». Inoltre, nel Paesaggio e l’estetica futurista della macchina (1931), il creatore del futurismo esalta «le nuove immense costellazioni di luce elettrica inventate e costruite dal fiorentino Jacopozzi» sulla Torre Eiffel, definendolo «un futurista» e«il plasmatore elettrico delle notti moderne». A buon diritto, l’elettrificazione può essere considerata, perlomeno fino a oggi, la più grande rivoluzione ambientale della storia umana dall’addomesticamento del fuoco. Con il loro fanatismo radicale e audacissimo, i futuristi hanno sprigionato un’energia simile a quella che si sviluppa nel passaggio tra due stati, da solido a liquido, trasformando due epoche e due mondi, quello agricolo ottocentesco in quello industriale novecentesco, come è appunto evidente nel dialogo fra Il Sole di Pellizza da Volpedo e Lampada ad arco di Balla. Ma è anche importante notare una chiara continuità tecnica sotto il segno del divisionismo e di una concezione atomistica che unisce i due capolavori attraverso una tradizione in costante divenire, cifra forte e caratteristica dell’identità artistica italiana.[…] La mostra è articolata in dieci sezioni, ricche di manifesti, libri e riviste (non va dimenticato che lo stesso Marinetti, nel testo Marinetti e il futurismo del 1929, identificava la nascita del movimento nella fondazione della rivista «Poesia» nel 1905), ma anche di film e oggetti tecnologici: “Prima de futurismo”, “Futurismo analitico e dinamismo plastico”, “Ricostruzione futurista dell’universo”, “Arte meccanica”, “Aeropittura”, “Idealismo cosmico e suoi sviluppi”, “Eredità del futurismo dal secondo dopoguerra”, oltre a due sezioni tematiche dedicate rispettivamente al cinema e all’architettura e a una sala dossier su Guglielmo Marconi. Senza avere la pretesa di documentare esaustivamente il percorso creativo dei tantissimi artisti futuristi attivi capillarmente in tutta Italia ed esemplarmente rappresentati in passato soprattutto nelle rassegne curate da Crispolti, la mostra riserva una particolare attenzione, oltre ai cinque fondatori, a Fortunato Depero ed Enrico Prampolini, i quali, senza fare semplicistiche graduatorie di merito, col passare del tempo e grazie a importanti studi storico-artistici assumono un rilievo sempre maggiore nell’ambito delle ricerche futuriste successive alla scomparsa di Boccioni e segnate per certi aspetti dalla leadership di Balla. I futuristi furono i primi a capire veramente che si stava realizzando una condivisione di massa del cosiddetto progresso e che nuovi modi di pensare e di sentire lo spazio e il tempo sarebbero nati dalle fondamentali innovazioni tecnologiche affermatesi fra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni Dieci del Novecento: il telefono, i raggi X, il cinema (che per i futuristi «darà all’intelligenza un prodigioso senso di simultaneità e di onnipresenza […] offrendo una sintesi alogica e fuggente della vita mondiale», come scrissero nel manifesto La cinematografia futurista del settembre 1916), la radiotelegrafia – e quindi la comunicazione elettronica istantanea –, l’automobile, la motocicletta, l’aeroplano. Per non parlare, in ambito ampiamente culturale, della scoperta dei quanti nel 1900 grazie a Max Planck, della teoria della relatività (Albert Einstein pubblicò nel giugno 1905 l’articolo Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, nel quale venne esposta per la prima volta la teoria della relatività ristretta), della riscoperta del lavoro di Gregor Mendel nel 1900 da parte di alcuni scienziati, fra cui Carl Erich Correns, Hugo de Vries e Erich von Tschermak, che poi portò alle basi della genetica moderna, del romanzo del “flusso di coscienza” e della psicoanalisi. Tutte queste novità sembravano dire che esisteva un universo illimitato sempre in movimento e in divenire, ma anche che le dimensioni dell’invisibile sovrastavano di gran lunga gli orizzonti del visibile. I futuristi, muovendosi sulla soglia fra visibile e invisibile, seppero intuire e visualizzare una idea del mondo come campo di forze contrastanti e molteplici, vitali, potenti, costantemente in divenire, dove diventa difficile e riduttiva qualunque distinzione tra “io” e “mondo”, tra soggetto e oggetto, tra memoria e invenzione, tra linguaggio e realtà, tra visionarietà e ricerca”.[…] Come ha scritto Stephen Kern nel fondamentale Il tempo e lo spazio, «la tecnologia fece crollare anche la volta del cielo. Non era mai accaduto prima dell’epoca del radiotelegrafo e dell’aeroplano chei cieli apparissero così ravvicinati o così accessibili: un luogo di passaggio per la comunicazione umana e per corpi umani in macchine costruite dall’uomo. L’onnipresenza e la capacità di penetrazione delle onde radio rivaleggiavano con l’attività miracolosa e capovolgevano la direzione dell’intervento divino. Gli aeroplani invadevano il regno dei cieli e i loro fumi di scarico profanavano il reame dello spirito: ladirezione dello sviluppo e della vita restava ancora verso l’alto, ma in questo periodo essa perse molto del suo aspetto sacro». D’altro canto, anche l’aeropittura inventata dai futuristi, che per tanto tempo è stata ingiustamente criticata, sottovalutata e ridotta a semplice manifestazione della propaganda fascista, in realtà ha aperto la strada e anticipato quella “prospettiva verticale” che oggi sta diventando uno dei modi di vedere dominanti, attraverso l’uso quotidiano di aerei e droni e tramite la visione satellitare ormai abituale con Google Maps e Google Earth all’interno dei dispositivi digitali.
Il Tempo del Futurismo Opere della GNAMC esposte in Mostra